Cartellate – Scartellete
Tipicamente natalizie, “le scartellete” si preparano in due varianti: con vin cotto di fichi o di uva. La loro preparazione necessita di molta cura e manualità per riuscire a prendere al meglio la loro forma di piccola coroncina dai bordi seghettati.
Ciambelle di farina “Puprète”
Sono fatti di fior di farina con miele o zucchero oppure con miele e zucchero, o vino cotto. Si intride la farina con miele (su 5 Kg di farina un Kg di miele) con un po’ di lievito, pepe garofano, cannella e popone e con la pasta si forma un cilindro dello spessore di tre o quattro centimetri e lungo sessanta. Invece del miele si può mettere in 5 Kg di farina un Kg di zucchero, un po’ di lievito, 35 grammi di cannella e buccia di arancia grattugiata. Il fior di farina si può intridere anche col vino cotto. Formati nel cilindro di pasta, dei rigonfiamenti detti comunemente “’ntacche”, si sovrappongono le estremità del cilindro e si tengono ferme con un chiodo di pepe garofano, formando così una ciambella di circa 20 centimetri di diametro. “Li puprète” si usano tuttavia nella ricorrenza del carnevale, mentre anticamente erano di rito per i contadini, sia nel giorno del fidanzamento quando cioè scambiavano la promessa di matrimonio, sia in quello dello sposalizio. Ciascun invitato aveva “na coccke”, cioè due ciambelle che conservavano in un ampio fazzoletto, oltre a “li ‘ntacche rutt” che si distribuivano in capace canestro. “Li puprète” anticamente si facevano per lo più di notte e durante la lavorazione della pasta le donne cantavano canzoni nuziali e gli uomini bevevano vino e scherzavano per il bon augurio agli sposi “li zite”. Durante la sera di carnevale le maschere che visitavano i parenti, gli amici avevano spesso in regalo una carta quantità di “puprète” che infilavano al braccio destro. “Puprète” è un nome dialetto albanese e molto facilmente la sua origine risalirebbe al dominio degli “Scandemberg” del Gargano
Ciambelle – tarell pell’ove
Formata la corona circolare con un Kg di fior di farina nel centro di essa si rompono otto uova e di battono fortemente con le mani, mettendo poi 250 grammi di zucchero, cinquanta di lievito, che viene sciolto con una settantina di grammi d’acqua calda. Lavorata ben bene la pasta si formano le ciambelle, le quali si tagliano all’intorno e con le forbici si fanno i “pizzilli” al di sopra. Si lessano e si mandano al forno.
Giulebbati – tarallaz ‘ngeleppete
In un catino si mettono quindici o sedici uova senza guscio, a seconda la grandezza e si frullano fortemente col frullino in modo da stemperarle. Quindi si versano in un Kg di fiore di farina preparata sul panatoio a forma di anello e si impastano con l’attenzione di non mettere acqua. Lavorata ben bene la massa si tagliano in varie forme le quali si lessano e si tagliano superficialmente o sulla parte superiore se sono lunghi oppure all’intorno se sono ovali. Indi si mandano al forno e poi si versano in un tegame contenente “il giulebbe” (il quale è composto di mezzo chilo di zucchero, un quinto di acqua e un poco di corteccia di limone grattugiati) fatto cuocere in modo che esso non sia né molle né duro, ma filante.
Farreta – farrèt
La “farrate” è un rustico tipico del carnevale di Manfredonia, che risale ad una tradizione antichissima. Composta di ingredienti semplici, il farro, la ricotta e la menta maggiorana, un pizzico di pepe e aromi naturali quale cannella, si prepara l’impasto lasciandolo riposare perché la menta possa aromatizzare la ricotta. Il composto viene inserito tra due dischi di pasta di grano duro e si inforna il tutto.
Ostie piene – ostia ckiene
È un ottimo croccante fatto di frutti di mandorle con miele. Si abbrustoliscono i frutti delle mandorle in una teglia di rame, “la turtire”, poi si mettono in un tegame nuovo, la pentola di creta nel quale si versa il miele e si mescolano sei once di zucchero ed un po’ di cannella e popone. Quindi si mette il tegame sul fuoco con un cucchiaio di legno di rotola sempre il tutto in modo da non fare attaccare le mandorle al tegame. Nel frattempo si prepara un’ostia lunga sei centimetri e larga cinque, la “ferrete” oppure la metà dell’ostia, la quale è coperta di mandorle cocenti bene strette, ed allineate con uno stecco, sulle quali si mette un’altra ostia o ferrata. Sulle ostie cosi piene si mette una tavoletta con pesi di sopra per farle bene aderire. Dopo un paio di ore si può gustare la specialità montanara.
Scaletatidd
In ogni chilo di fior di farina sottile si mettono 25 grammi di finocchietti. Fatto un cerchio con la farina mescolata al finocchietto nella parte centrale “lu camine”, si versa cinquanta grammi di olio, “doj musuredd”, poi acqua tiepida salata e si intride e si lavora la pasta, la quale poi è avvolta in una salvietta per farla stare una mezz’oretta in riposo. Indi si spiana la pasta “ce resine” e si allunga , si allunga in forma cilindrica più o meno sottile di cui si taglia una porzione e si forma una ciambella per lo più rotonda con o senza il diametro. “Li saletatidd” si lessano “ce ‘ntellessene” e si tolgono dall’acqua bollente quando vengono a galla per metterli nel catino d’acqua fredda. Messi allineati su tovaglie pulite si fanno asciugare e poi si mandano al forno da quale di tolgono quando acquistano un bel colore d’oro.
Biscotto Cegliese
Il biscotto cegliese è un pasticcino a forma di cubetto tipico di Ceglie Messapica dal colore bruno dovuto alle mandorle tostate di cui è riccamente farcito. Le mandorle prescelte sono quelle ella varietà denominata Duriviez in quanto, avendo il guscio semiduro, sono facilmente beccabili dal pettirosso. Tale varietà locale detta anche cegliese si caratterizza per la fioritura tardiva che sfugge ai freddi invernali. I biscotti vantano una lunga tradizione, venivano prodotti in concomitanza con le feste più importanti e non mancavano mai nelle bomboniere offerte dagli sposi. Ancora preparati da molte famiglie è possibile acquistarli presso alcuni formi a legna o pasticcerie di Ceglie Messapica.
Fichi maritati
Un tempo i fichi costituivano uno dei prodotti più pregiati e richiesti dal mercato anche per l’esportazione ed intere famiglie basavano la propria economia sulla loro cura. Attualmente la coltura è praticamente semi abbandonata ma permane tuttora nelle nostre campagne. A settembre, il mese dei fichi, si raccolgono i frutti che vengono in seguito tagliati a metà, facendo attenzione a lasciarli uniti, e messi ad asciugare al sole su caratteristici graticci di canne. Nei giorni successivi si rivoltano, fino all’essiccazione completa, per circa una settimana a questo punto i fichi spaccati si uniscono a coppia “si maritano” deponendo all’interno una mandorla secca e tostata e semi di finocchio selvatico e della scorzetta di limone, quindi si infornano rendendoli più saporiti. Una volta raffreddati si conservano per diversi mesi in vasetti di vetro chiusi ermeticamente.
Cupeta
La Cupeta è uno speciale torrone di mandorle di origine araba in passato molto diffuso in tutto il regno di Napoli. Preparato in occasione delle ricorrenze più importanti si vende tuttora sulle bancarelle delle feste patronali a livello famigliare conserva sempre tutta la sua tradizione.